giovedì 25 ottobre 2012

Vado a vivere in Brasile


La crisi economica che sta attanagliando da anni mente e tasche degli italiane sta incrementando un fenomeno che pensavamo riguardasse ormai solo gli extracomunitari: l’emigrazione. Sono sempre più coloro che, spinti da motivazioni diverse, decidono di lasciare quello che un tempo con orgoglio chiamavamo il Belpaese per cercare fortuna, sopravvivenza economica o semplicemente una migliore qualità della vita in paesi lontani.

Una delle mete più gettonate è senza dubbio il Brasile, che definire Paese è semplicemente riduttivo visto che è esteso quasi 30 volte l’Italia, è attraversato da 3 fusi orari, ha oltre 7mila chilometri di costa ed è l’unico Stato al mondo a essere attraversato dall’Equatore e da un tropico.

Vivo in Brasile da ormai oltre 5 anni, in uno dei più bei posti al mondo, Canoa Quebrada (semplicemente Canoa per chi la ama), che da ex villaggio di pescatori è divenuto negli ultimi 10 anni una delle mete più trendy e ricercate dell’intero Sudamerica.



In molti mi chiedono cosa mi ha spinto a cambiare radicamente stile di vita e passare dal verde dell’Axapalocco alle dune e alla falesia di questo angolo di paradiso. E’ difficile rispondere loro, un soggiorno a Canoa vale più di diecimila parole. La bellezza del posto la possiamo ammirare digitando Canoa Quebrada su Google Earth, la magia, i profumi, la luce, l’allegria della gente non sono facilmente descrivibili. Fatto sta che chi viene una volta a Canoa torna in Italia che non è più la stessa persona. Accade un po’ con tutte le località brasiliane, a Canoa Quebrada in particolar modo.

Accanto ai tanti che vi risiedono da anni (quasi 200 persone in un paese di circa 3.000 anime) un sempre crescente flusso di persone disgustate dal clima socio-politico che si respira in Italia, strozzate dalla crisi economica, ammorbate da stili di vita che ormai si rivelano per quello che sono (imposti dall’alto e mai intimamente accettati), disilluse da eterne promesse di rinascita socio-culturale, decide di mollare baracca e burattini e tentare l’avventura di una nuova vita. E’ un rischio calcolato? Risponderò a questa domanda nei prossimi numeri di Zeus, quello che mi preme sottolineare ora è che il fenomeno dura ormai da molti anni e tanti ne durerà ancora, almeno finché l’Italia non si rimetterà definitivamente in carreggiata.

Ma qual è la tipologia dell’emigrante anni 2000? Cerca l’isola che non c’è o è mosso da una scelta ponderata? Cosa va a fare a Canoa Quebrada? Come può calcolare il capitale di investimento necessario? Quali sono le leggi che regolano gli investimenti esteri in Brasile? Come si ottiene la permanencia, il tanto agognato permesso di soggiorno per risiedere in Brasile più dei 90 giorni l’anno (prima erano 180) attualmente consentiti? Come sono visti gli italiani in Brasile? Come si sono organizzati tra loro?

A queste e a tante altre domande, che sempre più frequentemente mi sono poste da un sempre maggior numero di persone, cercherò di dare risposte nelle prossime edizioni di questa rivista. Con due necessarie premesse: il mio è ovviamente un punto di vista personale che, sebbene ove possibile sarà suffragato da cifre a dati ufficiali, rimane sempre opinabile e soggetto a critiche, più o meno fondate.


La seconda premessa è che, viste le dimensioni del Brasile e poiché non ho intenzione di scrivere un trattato, la mia analisi si limiterà a una specifica regione brasiliana, il Nord-Est, con particolare attenzione al Cearà, alla sua capitale Fortaleza e a quel paradiso naturale che sorge a 164 km dal suo aeroporto internazionale, Pinto Martins, al quale nel 1650, quando il capitano portoghese Francisco Soares da Cunha si incagliò con la sua barca sulla spiaggia antistante la duna di Ponta Grossa ad Icapuì, fu dato il nome di Canoa Quebrada.  

1 commento:

  1. Due sono i principali problemi da affrontare per chi decide di trasferirsi in Brasile: cosa fare e come rimanerci a lungo. Ossia, come reperire le risorse finanziarie per mantenersi e come restare in Brasile per più di 3/6 mesi senza diventare clandestino. I due problemi sono in parte tra loro legati. Nel senso che se si hanno 60.000 euro da investire si ottiene quasi automaticamente il permesso di soggiorno, avendo un capitale da investire per iniziare un’attività lavorativa, possibilmente remunerativa. E per chi non dispone di un tale capitale? E’ possibile ottenere il permesso di soggiorno in altri modi? Il metodo “classico” è farsi una famiglia in Brasile: basta trovare la persona giusta e ci si sposa e/o si fa un figlio e il permesso è assicurato. Nel caso del figlio brasiliano per sempre, nel caso di matrimonio può essere revocato al momento della separazione se la Policia Federal capisce che il matrimonio era solo di facciata. Ma c’è anche una terza, suggestiva ipotesi, adatta soprattutto per chi decide di trasferirsi in Brasile con la sua compagna di vita italiana: far nascere il proprio figlio in Brasile. Per lo ius soli – sì, proprio quello invocato dal presidente napolitano – il figlio nato in Brasile diventa automaticamente cittadino brasiliano e i loro genitori possono richiedere la tanto agognata permanencia. Rimane però in piedi il secondo problema: cosa fare in Brasile?
    Facciamo l’esempio di Canoa Quebrada, che è il caso che mi riguarda più da vicino, vivendoci da oltre 5 anni. Questo angolo di paradiso vive di turismo e gli italiani (oltre 200) che ci vivono hanno trapiantato la loro cultura estetica e il loro innato senso dell’ospitalità turistica costruendo le più belle pousade e i migliori ristoranti del paese. Investendo, dunque, i propri risparmi nel settore turistico-ricettivo. Facilitati, almeno fino a qualche anno fa, da un euro forte rispetto al real (basti pensare che un euro valeva 3,5-4 reali a fine 2002, ora siamo oltre i 2,6 dopo essere scesi addirittura a 2,2-2,4 nel 2010-2011!) e da valori di mercato di case e terreni di gran lunga più bassi rispetto a quelli italiani: nel 2007 si poteva comprare una villa di oltre 300 mq con oltre 2.500 mq di parco al prezzo con cui a Roma… si comprava a malapena un box per l’auto in un quartiere di periferia (non sto scrivendo per sentito dire, il caso mi riguarda personalmente!).

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